Vetrina vera… cibo finto… noooo

Ciao!

Oggi ti racconto una cosa curiosa che mi è capitata qualche giorno fa.

Come sai io sono sempre a caccia di nuovi prodotti.

È più forte di me: in qualunque parte del mondo io mi trovi, non solo assaggio tutto, ma cerco subito di intuire se una certa referenza:

-può essere portata sul mercato italiano

-può piacere al nostro cliente

ha dei plus valoriali e aiuta ad accrescere il fatturato dell’imprenditore.

Non solo, in realtà: mi guardo anche molto attorno, ossia osservo come funzionano il servizio, la gestione dei collaboratori, l’impiattamento, la disposizione dei tavoli, dei cartelloni pubblicitari fuori dal locale e così via.

Analogo comportamento tengo – a maggior ragione – quando giro per le città italiane.

In questo caso entro più nel dettaglio, per “scovare” elementi differenzianti da poter portare a casa e condividere con i miei clienti.

Dunque, con questo spirito di “apertura”, mi reco per lavoro in una grande città del nord. In una sua via del centro resto colpito da un bar che ha una vetrina incredibile: il massimo della ricchezza e varietà di dolci sia per la colazione che per il dopo pasto. Alcuni sono tipici di quel territorio (li voglio subito assaggiare!), altri sono parte della tradizione pasticcera italiana: sono bellissimi, voglio assaggiare pure quelli. Spiccano, tra tutti, dei dolcetti che somigliano agli scones inglesi, con gocce di cioccolato oppure frutti di bosco.

Entro, tutto felice, già pregusto il cioccolato che si scioglie in bocca, una volta imbevuto in un buon cappuccino.

Chiedo subito di poter avere 3-4 pasticcini, mi viene risposto: “Abbiamo finito quelli al cioccolato”.

E io, di rimando: “Scusi, avete la vetrina piena…”. “Sì, ma quelli che vede sono solo da esposizione”…

Mi scende quasi la lacrima.

I sentimenti che albergano in me sono contrastanti:

-Accidenti a voi. Questa è una falsa promessa che fate a me, vostro cliente!

-Resterò per sempre col desiderio di assaggiare questo dolce!

Poi però, sbollito il dispiacere, considero quanto segue: l’idea di una vetrina “finta”, con una ricca esposizione anche di prodotti freschi, non è poi malaccio.

In pratica:

-do l’idea di poter vantare un’offerta completa

-dimostro una certa qual eleganza nella disposizione dei prodotti

-catturo il cliente al cento per cento (se la vetrina fosse stata vuota, di sicuro non sarei entrato)

Quindi, alla fine, come direbbero i grandi saggi, molto rumore per nulla: la delusione viene compensata dai dolcetti ai frutti di bosco (quelli ancora disponibili).

Un momento, no, la storia non può finire così.

A parer mio, infatti, questo bar ha un demerito, al di là delle strategie raccontate poche righe sopra.

Se alle 15 del pomeriggio di una domenica (questa l’ora in cui sono entrato) il negozio/bar ha completamente esaurito la propria offerta, qualcuno ha fatto davvero male i conti.

Cosa verrà servito sino alle 19 di sera?

Quale fetta di fatturato si sarà auto-eliminata?

Quanti clienti resteranno, come me, non del tutto soddisfatti?

Chi non ha calcolato nel giusto modo il quantitativo di prodotti che in quella giornata – climaticamente perfetta – sarebbero stati acquistati da un numero elevato di clienti?

Ora il quadro è completo.

Quando si ragiona in ottica di servizio, occorre guardare davvero a 360 gradi. “Bruciare le scorte” è cosa buona, ma la rottura di stock, come viene chiamata in grande distribuzione, pesa, assai, proprio sulla cassa… non varrebbe la pena ragionare in modo più strategico a monte?

 

 

 

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